Testimonianze degli sfollati di Oslavia: Kristina Komavli

Non mi ricordo l’esatta data della nostra partenza, ma penso che avvenne il 25 o il 26 maggio del 1915 verso mezzogiorno. La mamma stava giusto cucinando la jota, quando in casa irruppe monsignor Pavlica di Gorizia supplicandoci di lasciare subito questi luoghi pericolosi e di allontanarci di almeno un chilometro. Ci preoccupammo però per l’assenza di nostro nonno Luka Komavli, che era andato la sera prima dalla vicina di casa a dare una mano al parto della mucca. la casa della vicina si trovava dall’altra parte del futuro fronte, nel frattempo i soldati austriaci avevano chiuso tutti i varchi con i reticolati e nostro nonno non potè più tornare a casa. Dalla nostra partenza fino al nostro ritorno, di lui non si seppe praticamente più niente. […]

Da Oslavia pertanto siamo letteralmente fuggiti e per alcuni giorni ci siamo fermati nella casa di un nostro zio a qualche chilometro sulla strada per Gorizia. Nella stessa maniera sono fuggiti anche i nostri vicini.

Durante la nostra fuga mia madre riuscì a prendere solamente alcune cose, che avvolse in un fagotto, prese in braccio il mio fratellino, mentre il povero papà ansimava dietro di noi. Il giorno dopo la mia mamma volle tornare a casa per prendere delle cose indispensabili per la famiglia, ma i soldati non le permisero di procedere. Tornò a mani vuote.

Dopo alcuni giorni ci trasferimmo a Piuma, due chilometri più a valle, sulla strada per Gorizia. Trovammo rifugio nell’osteria adiacente la scuola elementare. […] La famiglia Figelj, proprietaria dell’osteria, permise ai miei genitori di vendere ciò che rimaneva. In quell’osteria siamo rimasti due settimane intere e papà vendette ai soldati austriaci il vino, le bibite ed i biscotti rimasti. […]

Quando sul campo davanti a casa nostra cominciarono a cadere anche granate di calibro sempre più grosso, nostro padre finalmente decise di partire. Mi ricordo che andammo a Gorizia alle tre di notte. […] Trovammo alloggio nel rione cittadino di Piazzutta […]. Il cibo veniva preparato in una vicina caserma militare dove a turno andavamo a prenderlo due volte al giorno. Mi ricordo che spesso sulla via principale del rione venivano condotti i prigionieri di guerra e noi bambini ci prendevamo beffe di loro. Alcune volte il nostro quartiere fu cannoneggiato.