Relazione di mons. Castelliz all’arcivescovo Sedej. La fuga dei sacerdoti da Gorizia

Vipacco, 11 agosto [1916]

Tutta Vipacco è piena di profughi. Anche Sambasso è evacuata. Da costoro veniamo a sapere che Johann e Katerca sono rifugiati ad Aidussina. Si sono salvati a stento perché le pattuglie italiane marciano e cavalcano per tutte le strade della città e permettono l’uscita soltanto verso Lucinico. Anche don Setničar si è salvato a stento attraversando il bosco del Panovitz e arrivando a Sambasso. Il dott. don Kobal, il dott. don Šorli e don Mosettig sono pure qui. Alle 11 arriva anche don Quaglia vestendo la talare. Una pattuglia a cavallo l’aveva fermato presso il Monte di Pietà allorché voleva recarsi nella chiesa di S. Antonio. Rendendosi subito conto della situazione pericolosa, egli sparì nel cortile del palazzo arcivescovile e con il sagrestano della chiesa dei Gesuiti superò il colle del Castello, oltrepassò il Rafut e il Panovitz e così si pose in salvo. Don Jug si nascose nell’edificio del Monte di Pietà e sembra abbia perduto il momento giusto per la fuga. Con lui c’era anche il teologo Bratuž con tutta la famiglia: con ogni probabilità sono stati portati tutti in Italia.

Tutti raccontano che la città ha sofferto terribilmente. Cadaveri giacciono per le strade e nessuno pensa di seppellirli perché mancano becchini e pompa funebre. Si dice che i soldati italiani trattino gli abitanti con molto riguardo. Corre voce che anche S. Pietro sia già occupato. Si combatte a Kemperlišče. I nostri soldati tengono sempre la linea Rosental-Aisovizza. Anche sull’alano di Doberdò i nostri si sono ritirati sulla seconda linea.

Anche don Likar è qui. Egli racconta che i cannoni italiani hanno ridotto Salcano in condizioni terribili. La chiesa è bruciata. I porcellini corrono smarriti per le strade. Tutta la gente è fuggita. Anche a Gorizia si vedono porcellini abbandonati per le strade. Parecchi dei contadini abbienti della periferia hanno abbandonato perfino mucche e buoi e sono fuggiti in fretta con i cavalli.

(Francesco Castelliz. [Lettera dell’11 agosto 1916 all’arcivescovo Francesco Borgia Sedej], in Camillo Medeot. Lettere da Gorizia a Zatičina. Udine, La nuova base, 1975, p. 79-80)