L’internamento di Sofronio Pocarini

Il giudice militare che, come si seppe in seguito, era, nella vita borghese, un deputato socialista al Parlamento di Vienna, aveva chiamato anche mia madre, mia sorella e me a testimoniare, mi disse che il ragazzo non doveva avere il cervello a posto. “Gli ho fatto vedere la forca spiegandogli che quella era la punizione per i colpevoli di alto tradimento e lui scrollò le spalle come se la cosa non avesse alcuna importanza”. Era un suggerimento. Ne approfittai subito e inventai lì per lì un paio di casi a dimostrazione che il ragazzo era anormale e quindi irresponsabile. “Anche recentemente in un momento di stizza, ha lanciato un paio di forbici contro la sorella”. E pregai il giudice di interrogare i professori dello studente, se erano ancora a Gorizia. Sapevo che c’erano i miei colleghi Turus e Fornasari, gli insegnanti di italiano e di disegno. Corsi immediatamente da loro per informarli e scongiurarli di testimoniare nel senso desiderato. Entrambi furono subito d’accordo e attesero la chiamata. Turus, se richiesto, poteva presentare un documento convincente.

Presentò infatti un compito che Sofronio aveva scritto per prendere in giro il professore: una pagina con parole in libertà, a caratteri di varia grandezza, per dritto e per traverso, tipo, per intenderci, Battaglia di Adrianopoli. L’effetto non poteva mancare.

Il giudice sorrise, mise il compito agli atti e con squisita cortesia mi comunicò che Sofronio era assolto e potevamo stare tranquilli. Soggiunse quasi scusandosi: “Mi dispiace di non poterlo mandare a casa. L’autorità militare non lo permetterebbe. Devo farlo internare”.

(Ervino Pocar. Mio fratello SofronioGorizia, Cassa di Risparmio, 1976, p. 26-27)