L’internamento di Alfredo Fantuzzi
Prelevato in casa da una guardia e da un gendarme, al comando di polizia, dove trovai Giovanni Pincherle che conoscevo appena, ma che sapevo buon patriota, il commissario Casapiccola, squadratici da capo a piedi, disse burbero e sprezzante: “Internarli! i xe maziniani tuti do!“. All’Istituto Magistrale femminile trovai Sofronio [Pocar]; sereeno, pronto ad affrontare la sua sorte; era stato condannato all’internamento, in mancanza di prove di un più grave reato. I nostri discorsi formavano una ricca gamma di variazioni su un unico inesauribile tema: la redenzione, la guerra, la vittoria; vi si intrecciavano particolari che arricchivano l’argomento: Edoardo combattente, gli amici, Ervino minacciato anche lui, il suo papà calmo come un patriarca, le nostre mamme, mio fratello, e sullo sfondo del discorso le granate che fioccavano contro il castello ascoppiando entro nuvole di fumo e di polverone. Assistevamo alla guerra come a uno spettacolo nuovo; non vedevamo né sangue, né corpi straziati. Di notte tendevamo l’orecchio a un più intenso fuoco delle artiglierie, come a una offensiva che avrebbe portato l’indomani il tricolore a Gorizia.
L’indomani, era – se ben ricordo – il 21 luglio, avemmo l’ordine di scendere al pianterreno con le nostre robe: mia madre aveva saputo la sera stessa dove eravamo chiusi (e che cosa non sa una mamma?) e mi aveva portato da mangiare. Alla mattina era sulla porta con biancheria, oggetti da toilette, alcuni libri. E mi diede un po’ di denaro, che mi sarebbe bastato per qualche mese; anche troppo per quei pochi giorni che sarebbe durata la guerra! Caricammo su un carro aperto il sacco a spalla e una valigetta, vi salimmo sopra e il carro si mosse, attraverso la città, verso Valvolciana, la più vicina stazione ferroviaria ancora in funzione. Lungo il Corso Verdi, sul marciapiede a fianco del carro camminava mia madre, e ci guardavamo. “Ci rivedremo fra pochi giorni” incoraggiavo io. “Sì, sì” accennava lei col capo e aveva il pianto in gola. E quando si fermò all’angolo del teatro e il carro, proseguendo, mi allontanava da lei, con la mano mi mandava gli ultimi saluti e io le rispondevo. Quando sparì, chinai il capo a nascondere il pianto.
Tre giorni durò il viaggio fino a Leibnitz in Stiria, nell’accampamento per profughi di Wagna. Il disagio naturalmente fu grande. Ci trovammo nel carro bestiame in una ventina di persone: alcune signore, ricordo Oliva Feresin, cameriera e donna di fiducia della famiglia Mulitsch, la signora Gasperazzo, con una figlia di 18 anni e un ragazzo di 14; il vecchio commissario d’annona Francesco Grioni, Angelo Canetti, Giuseppe Grudina, Guido Vergna di Farra, un giovane svizzero Benedetto Nadig, che aveva combattuto la battaglia irredentistica e veniva rimpatriato; il vecchio Mareschi, malato, padre del terrazziere che nel 1908 in una rissa provocata da soldati avvinazzati era stato ucciso con una baionettata nel ventre. Giunti al campo di Wagna, trovammo molti internati di Gorizia e triestini e istriani.
Circondati da compagni di sorte, fummo subissati di domande. Chi eravamo? di dove? donde venivamo? quando eravamo partiti da Gorizia? E vedi, come il desiderio e la fantasia deformavano la verità e inventavano i fatti! Un giovane triestino, lo conoscemmo meglio più tardi come un caro generoso ragazzo! non si capacitava che appena tre giorni prima fossimo partiti da Gorizia. Gorizia era stata redenta da quindici giorni! E noi eravamo disfattisti e austriacanti, capitati lì a provocare e a spargere notizie false! Era il 24 luglio 1915 e Gorizia doveva attendere il 9 agosto 1916 per essere liberata.
(Gorizia e l’Isontino nel 1915. Testimonianze inedite di Carlo Luigi Bozzi – Marino Di Bert – Alfredo Fantuzzi – Biagio Marin – Luigi Zoffi raccolte e coordinate da Carlo Luigi Bozzi per il cinquantenario dell’entrata in guerra. 5. suppl. a “Studi goriziani”. Gorizia, Biblioteca Governativa, 1965, p. 83-84, 95)