L’incendio del Trgovski Dom

Ai 18 corr. [18 novembre 1915] di mattina fui svegliato dallo scoppio di granate, che per ben quattro ore caddero di continuo sulla città. Una piccola granata andò pure a scoppiare nel portone di casa e una scheggia, perforando gli scuretti e le lastre, andò a conficcarsi nel soffitto della nostra loggia. Nello stesso giorno diverse granate incendiarono edifici. Casa Bader, da quello che mi fu detto, andò quasi tutta distrutta. La casa slava di Corso Verdi (Trgovskii Dom) s’incendiò pure e questo incendio, avendolo visto coi miei propri occhi, te lo descrivo bene.

Verso le 9 del mattino vidi che dalle finestre del primo piano, prospicienti la via Petrarca, uscivano nuvoli di fumo e sulla via i carri dei vigili. Probabilmente una granata in qualche locale interno dell’edificio aveva provocato l’incendio. Verso le 11 pareva il fuoco di già domato, non usciva più fumo dalle finestre, tutto pareva finito e i vigili col carro automobile partirono per un altro posto, essendosi nella stessa mattinata incendiati per la stessa causa diversi altri edifici. Nel pomeriggio vidi nuovamente i vigili che lavoravano attorno alla casa slava, essendosi nel frattempo nuovamente sviluppato l’incendio che alla mattina non era stato completamente estinto. Devi sapere che nella giornata qualche granata danneggiò pure la condotta d’acqua e perciò l’acqua non aveva la necessaria pressione per salire fino al piano incendiato. Colonne di fumo uscivano dalle finestre del primo piano, unite a lunghe lingue di fuoco che andavano a lambire il piano superiore. Causa lo scarso numero di vigili e di getti d’acqua, il fuoco andava prendendo maggiori proporzioni, invadendo pure il secondo piano. A un certo punto, per il calore si spezzarono le pietre dei poggiuoli del terzo piano e precipitarono nella via con fracasso. Intanto il fuoco andava propagandosi con fulminea rapidità al terzo piano e poi alla soffitta. Calava già la sera; molta gente e militari si fermavano nella via a vedere quest’orrido spettacolo.

Al di fuori dell’edificio incendiato non si scorgeva ora quasi nulla, solo per i vani delle finestre si poteva vedere un gran rossore, come in una fornace ardente, e di quando in quando dei pezzi di travi infuocati che precipitavano da un piano all’altro. Ma ad un tratto, quale spettacolo! Intere fascie di tegoli scomparivano dal tetto e dagli spazi rimasti uscivano alte fiamme. Quella vista mi lasciò una tal impressione, che certamente non la dimenticherò. La scala Porta fu rizzata accanto al torrione di mezzo e un vigile da essa dirigeva un gran getto d’acqua, sollevata mediante la pompa del carro automobile. Tutto pareva ora inutile, avendo l’incendio preso grandissime proporzioni e stava per invadere l’altra parte dell’edificio, ma fortunatamente gli sforzi dei vigili riuscirono finalmente a isolarlo nella parte già incendiata. Per tutta la notte i getti d’acqua continuarono a inondare questa parte e alla mattina l’incendio era finalmente estinto.

(Arnaldo Mulitsch. Lettere al fratello, in Cronache goriziane 1914-1918. A cura di Camillo Medeot. Gorizia, Arti Grafiche Campestrini, 1976, p. 221-222)