L’arresto di Giuseppe Braidotti
gennaio 1916
Mi accordai con una nostra fedele fantesca, nativa di Tolmino, che mi assistette per tutto il periodo della clausura. Questo mio rifugio fu pieno di pericoli, poichè militari di tutte le armi circolavano per via Vetturini, bussavano continuamente alla porta di casa in cerca d’alloggio, ma la mia donna riuscì sempre ad allontanarli dicendo loro che le camere erano giĂ occupate da altri ufficiali, e ciò sino alla fine del 1915. Io passavo i lunghi giorni spesso affacciato alle finestre posteriori della casa che davano sulle verdi pendici del Castello e sull’Arcivescovado. Su questi pendii deserti le granate italiane dirompenti davano uno spettacolo fantastico di fuochi d’artificio, specialmente la sera. Era per me l’unico diversivo della tragedia che continuava.. Vissi così inattivo per mesi e mesi in un’attesa snervante fino al giorno del gennaio 1916 in cui m’ero accordato col mio fratellastro prof. arch. Lodovico Braidotti, residente a Trieste, di far trasportare colĂ e così metterla in salvo una grande raccolta di preziosi quadri lasciatici in ereditĂ da nostro padre. Il trasporto doveva essere effettuato da due persone fidate inviate a Gorizia da mio fratello, in un giorno prestabilito. Giunto quel giorno, udimmo gli squilli del campanello e la donna, sicura che fossero gl’incaricati triestini, senza accertarsene spiando dalla finestra, aprì la porta e con sgomento si vide comparire i gendarmi che la immobilizzarono e le chiesero di me. Evidentemente qualcuno dei vicini, che ci erano ostili, ci aveva traditi. I militi salirono di corsa i tre piani di scale fermandosi dinanzi una porta chiusa a chiave. La raggirarono per un poggiuolo vicino e finalmente, attraverso una finestra attigua, scoprirono il mio nascondiglio ch’era senza via d’uscita. Nella precipitazione della mia fuga non ero riuscito a raggiungere il mio piĂą sicuro nascondiglio, nel quale m’ero rifugiato tante altre volte. I gendarmi erano felici di avermi così rapidamente intrappolato. Venni subito tradotto alle Carceri Giudiziarie, dove, dopo alcuni giorni d’isolamento, dovetti comparire davanti a un tribunale militare formato da soli ufficiali. Incolpato di diserzione e tradimento, nonchĂ© di spionaggio a favore dell’Italia, negai tutto, parlando in tedesco, affermando di non essermi presentato alla chiamata perchĂ© correvano voci di maltrattamenti cui erano sottoposti gli italiani. Fui condannato a dieci anni di carcere duro, ma dopo un’attesa durata parecchi giorni la mia condanna, come quella di tanti altri, venne commutata da Vienna in quella dell’invio al fronte. E così, prelevato da una pattuglia armata, fui condotto a piedi ad Aidussina, e poi a Lubiana e infine a a Radkersburg (ove era il Kader del Reggimento N. 97), col marchio di P.U., politicamente sospetto.
(Giuseppe Braidotti. [Testimonianza rilasciata a Camillo Medeot], in Cronache goriziane 1914-1918. A cura di Camillo Medeot. …. Gorizia, Arti Grafiche Campestrini, 1976, p. 228)