Il diario di Alojzij Res. Gorizia in fiamme
Gorizia, 21 novembre 1915
Riesco soltanto oggi a raccogliere alcune impressioni sullo spaventoso bombardamento durato due giorni. Non è che sia tornata la pace, ad Oslavia il dramma cruento per Gorizia è ricominciato e, sorvolando la casa rimasta ancora intera, guizza di tanto in tanto in volo selvaggio una granata e va a colpire edifici che crollano, come un vaso di coccio colpito da una sassata. Fatico a raccoglier le idee, perché tante, così recenti e spaventose sono le impressioni che la penna non sa da dove cominciare.
Il cielo si stendeva limpido su Gorizia e le stelle brillavano ancora quando, alle cinque in punto del diciotto novembre, innumerevoli cannoni italiani presero a tuonare di là dai ponti di Gorizia vomitando ferro e fuoco sulla città addormentata. In una danza sfrenata le granate strepitavano e sibilavano nel silenzio notturno, andando a schiantarsi fragorosamente sulle case che crollavano in un fragore di boati. Nelle vie cadevano pezzi di tetti, di finestre, d’intonaco, come durante un terremoto. E, insieme, uno scroscio di vetri e di stoviglie frantumati mentre frammenti di granate, di pietre e di mattoni piovevano sui tetti, sfondando le finestre, i corridoi ed il selciato.
E già allo spuntar del sole guizzavano verso il cielo lingue di fuoco, mentre nuvole di fumo nero, sporco, si accavallavano sopra la città.
Un’incredibile tristezza suscitava la visione delle vie cosparse di pietrame, di mattoni, di frammenti di ferro e di vetro. Dalle case pendevano grondaie spaccate, persiane fracassate, fili elettrici e telefonici divelti. Vasti sfondamenti guardavano, spalancati, dalle case morte, mostrando gli alloggi devastati con il loro mobilio frantumato. Tende lacerate sporgevano sulla via svolazzando nel vento come vessilli. Con un salto superavo qua e là un’enorme duca scavata da una granata nel lastrico della strada; una granata piovuta violentissima, facendo schizzare le pietre lontano all’intorno, insieme col terriccio e la ghiaia, staccando intonachi, sfondando le saracinesche dei negozi, fracassando porte e finestre. Ogni tanto venivano a schiantarsi granate da 28 cm che spaccavano in due, come giocattoli, edifici di due piani.
Le vie erano deserte, senza il minimo segno di vita. Tutte le finestre, tutte le porte, tutti i negozi erano chiusi; solo ogni tanto qualcuno si affrettava, o meglio, correva rasente alle case, guardandosi attorno pauroso, si fermava un attimo quando percepiva l’urlo delle granate, po scompariva dietro l’angolo. Sembra che un orrore invisibile percorra le vie, ed il sangue scorre impetuoso nelle vene. Ad ogni boato il passo si sofferma involontariamente; e chi avverte ancora il volo di quel grande, spaventoso oggetto che gli si avvicina di nuovo con un tuffo selvaggiamente crescente, come se qualcuno sferzasse l’acqua con un’enorme frusta, si ferma e stringe la testa fra le spalle.
La città brucia. Dove infuria l’incendio si ode il fragore dei muri, delle travature e dei tetti cadenti… Il Trgovski dom è avvolto dalle fiamme che sibilano attraverso le finestre nel vespertino cielo d’autunno. Le pareti oscillano e le traversine di ferro si stirano in un orrore deforme.
Le bianche notti di luna diffondevano su Gorizia una luce calda. Le ombre nere, a tratti decise, cadevano disegnando mostri scuri sulle case crollate e le vie devastate. Gli edifici si ergevano nudi nella notte, la luna brillava, attraverso le finestre frantumate, fin dentro le abitazioni distrutte mentre sulla città si distendeva il chiarore di un incendio che avvampava di rosso sanguigno il cielo.
Allora dalle ombre nere emersero delle sagome di persone che, spingendo un carretto su cui avevano affastellato cenci, recipienti e bambini, si affrettavano ad uscire dalla città devastata e andarsene chissà dove per il mondo per salvare non foss’altro che la vita. I ragazzi grandicelli seguivano i carretti, camminando carichi di fagotti e indossando gli abiti strettamente necessari.
Come sei mesi addietro, intere processioni se ne andavano nella bianca notte silente, e come sei mesi addietro si ripetevano le scene di dolore e di tribolazione.
Stavo tornando tutto solo a casa per le vie deserte, scavalcando cumuli di detriti e di pietre. Vedevo qua e là una granata inesplosa, grande quanto un ragazzo. Davanti alla porta di una casa diroccata giaceva, bocconi nel sangue, una vittima illuminata dal dolce chiarore lunare.
A casa trovai un gruppo di persone pallide, impaurite e tremanti, le quali vi avevano cercato rifugio.
Le madri stringevano al seno i lattanti che, deperiti, spalancavano la bocca per la fame e la sete. Era da due giorni, infatti, che si nascondevano nelle cantine e non mangiavano.
Un sommesso, debole pianto frammisto a singhiozzi giungeva fin nella mia camera. In esso sentivo ancora qualcosa di più: il gemito di centinaia di migliaia di persone che accusavano il mondo.
(Aloizij Res. Gorizia in fiamme, in Gorizia nella letteratura slovena. Poesie e prose scelte. A cura di Lojzka Bratuž. Gorizia, Goriška Mohorjeva družba, 1997, p. 116-118. Trad. Ezio Martin)