Il bombardamento del Reserve-Spital e la partenza delle suore
13 dicembre 1915
Improvvisamente si udì un terribile fracasso. Si corse nei piani superiori in soccorso degli ammalati, ma non fu possibile raggiungerli perché impedite dal fumo, dalla polvere e da un forte e soffocante odore di ecrasite. Una granata era scoppiata in casa. Fu subito un correre generale, un gridare, un chiamare. Si parlava di morti e di feriti. Diradatosi il fumo, si potè raggiungere il luogo dell’esplosione: la sala d’operazione. Una desolazione! Due Wärter morti e uno ferito. Immediatamente i feriti del primo piano vennero trasferiti al pianoterra. Alcuni, che erano agonizzanti, morirono durante il trasporto. Tutti gemevano Che strazio!
A quella prima granata seguirono delle altre che colpirono il serbatoio dell’acqua nella torre. L’acqua cominciò a scorrere per stanze e corridoi: una vera inondazione! Cento uomini, con scope, tentarono di fare un letto a questo terribile elemento onde evitare maggiori disgrazie. Si salvò quello che si potè, e gli ammalati furono subito preparati per essere trasportati via. I poveretti dovevano al più presto uscire dal pericolo. Intanto altre granate compirono l’opera di distruzione, in tutto sette. Il bombardamento terminò solo verso le 2 pomeridiane.
Ora che quasi tutti erano partiti, si doveva pensare anche un po’ a noi. Eravamo decise di partire per Vienna e raggiungere così le nostre Madri e sorelle che ci aspettavano a braccia aperte. Eravamo state avvertite che dovevamo essere pronte alla partenza già alle 5. In seguito alle nostre insistenti preghiere ci fu differita la partenza alle 7 di sera. Prima di lasciare Gorizia noi dovevamo infatti avvertire le consorelle di Villa Rosa e da colà prelevare i vestiti da suora per le giovani probande.
[…] Le nostre probande indossarono la divisa di suore e noi eravamo pronte per la partenza. A questo punto giunse il nostro ottimo e venerato Mons. Castelliz, che in passato ci onorava di tanto in tanto d’una sua visita. Egli ci dette l’ultimo saluto e l’ultima benedizione. Tutte eravamo commosse fino alle lacrime. Anche il congedo dalle nostre carissime consorelle Madre Fausta e Madre Gesualda, che dovevano ricongiungersi a Villa Rosa con Madre Silvina, fu oltremodo doloroso e commovente.
Sulla soglia della casa eravamo attese dal comandante dell’ospitale e dal personale di servizio, fra cui le care signorine Marinaz che ci erano state fide compagne in tutto il periodo della guerra. Il comandante prese commiato da noi con parole di viva soddisfazione per l’opera da noi prestata, non finendo più di ringraziarci ed esprimendo il voto di rivederci nel nuovo ospedale di riserva che si pensava d’istituire. Ma oramai la nostra decisione era irrevocabile. Ci congedammo da tutte quelle care persone con le lagrime agli occhi. Non si può esprimere la commozione del nostro cuore nel lasciare quella casa, ove ci fu dato lenire tanti dolori, asciugare tante lagrime, confortare tanti moribondi.
La sera era cupa, oscura, e per di più pioveva. Avevamo molti bagagli. Salimmo alfine sui carri che dovevano condurci fino a Prevacina; da qui avremmo poi proseguito in treno. Partirono con noi anche il signor Primario dott. Villat e il suo assistente. All’impressione penosa di quella triste e profonda oscurità si univa pure il fischio delle granate che trovava eco profondo nei nostri animi stanchi e abbattuti.
(suor Virginia Peterlongo. Cronaca del “Reserve-Spital”, in Cronache goriziane 1914-1918. A cura di Camillo Medeot. …. Gorizia, Arti Grafiche Campestrini, 1976, p. 141-144)