I ricordi di Franc Bone: la fine della guerra sul Carso e a Gorizia
Dopo la convalescenza pensai d’essere libero, di poter andare a casa, su dai nostri. Però mi presero nuovamente e dovetti ritornare nell’esercito. Sul Carso. Allora sul Carso non c’era più la guerra. “Ma cosa faremo qui” dissi al tenente. “Eh – rispose – troveremo già del lavoro.” Raccoglievamo i morti. Ancora adesso ho l’odore qui nel naso, puzzavano così tanto. Quando li prendevamo si rompevano, andavano insieme… Tutti sul mucchio, in una coperta, e li portavamo nella fossa. Facemmo questo lavoro per tre mesi…
Poi andammo a Gorizia, in via Ceconi. Raccoglievamo i monti sul Podsabotino. Ce n’erano pochi. Sul Carso, invece ce n’erano tanti, oh Maria. Lì abbiamo capito che la guerra stava finendo. Sapevamo che sul Piave sarebbe stata la fine. Eravamo contenti… C’erano pochi morti sotto il Sabotino. Raccoglievamo anche il ferro, trasportavamo i cannoni, le munizioni, le bombe recuperate a Solkan (Salcano) dove costruivano il ponte di ferro. Non ero più adatto per il fronte. Dissi che mi faceva male la schiena. Avevo paura di andare giù sul Piave. Mi mandarono a far sorveglianza ai russi. Prima c’erano stati gli italiani, che però scappavano di continuo. Scappavano di sera in tre per volta, quattro. Erano ogni giorno di meno. Poi arrivarono i russi; loro erano contenti perché mangiavano.
Era già la fine e l’Austria cadde. Vennero su i cannoni dal Piave, poiché la guerra stava per finire. A Gorizia gridavano: “La guerra è finita”. E noi tutti del nostro reggimento eravamo contenti. Si gioiva allora a Gorizia. Vennero gli ungheresi, gli italiani, tutti correvano per la città. Chiunque, se poteva, rubava qualcosa. Portarono dal Friuli dei porci rubati dagli ungheresi che erano proprio forti nel furto, specie di buoi e vacche. In via Ascoli c’erano tante mucche: gli ungheresi le portarono via, in Ungheria, dissero.
Gli italiani non mi lasciarono andare a Ljubljana [Lubiana]. Quando mi fermarono a Jesenice, sulla strada per Ljubljana, stavo per raggiungere la Dolenjska e i miei genitori. Gli italiani dissero di no: “Devi andare a Udine”. Io risposi: “Cosa farò a Udine? Devo andare dai miei genitori”. Avevo il vestito da militare. Avevo le armi, ed ancora il fucile con me. Gli italiani dissero: “Lei è prigioniero”. Orco, prigionier. Alla fine però, visto che l’ufficiale era buono riuscii a prendere il treno per Ljubljana.
(Testimonianza di Franc Bone (nato a Kromberk-Moncorona nel 1899), tratta da: Dorica Makuc. Voci di guerra e di confine, in La gente e la guerra. Saggi. A cura di Lucio Fabi. Udine, Il Campo, 1990, p. 235-263)