I profughi del Collio a Nicosia: i ricordi di Milka Šosteršič
Che cosa stesse succedendo nelle terre natie si sapeva poco o niente. Le poche notizie ci vennero fornite dal figlio di una nostra vicina di casa che venne a casa in licenza e combattè proprio ad Oslavia. Quella volta seppi che la località in cui abitavamo venne chiamata ‘Lenzuolo bianco’. Poiché la denominazione mi sembrò ridicola, il soldato mi spiegò il motivo di tale scelta del nome. Meno di cento metri da casa nostra si trovava la fattoria dei Klanjšček. La loro casa fu distrutta già nei primi giorni di guerra. In piedi però rimase una parete interna dipinta di bianco che da lontano poteva sembrare un lenzuolo appeso. L’abitato ha mantenuto questo nome fino ad oggi.
A Nicosia tornavano sempre meno soldati in licenza e sempre più comunicazioni sulle morti di figli, fratelli e padri. Quando ciò succedeva, la famiglia del caduto si chiudeva in casa appendendo un panno nero alla porta. Dall’abitazione si sentiva parlare ad alta voce, echeggiava il pianto e la ripetizione stridula del nome del defunto. Proprio vicino a noi una signora perse il suo unico figlio. Più tardi questa signora espresse il desiderio di adottarmi, ma mio papà non volle.
La testimonianza di Milka Šosteršič (classe 1906) di Oslavia è tratta da: Vili Prinčič. Testimonianze di profughi goriziani, in “Il Territorio”, 1998, n. 10, p. 73-74.