Enrico Rocca. Di vedetta sul Sabotino

Ed ecco che, come in sogno, mi rivedo la notte montare di vedetta sul Sabotino. A intervalli quasi regolari una cannonata solca l’aria e va a scoppiare lontano. Da Oslavia a tratti s’accende crepitando, e poi si spegne improvvisa, la fucileria. in alto lo stellato; nel fondo valle Gorizia.

Como, la vita di caserma, l’ebbra partenza per destinazione ignota, la marcia estenuante che dal “deposito rifornimento uomini” di Manzano m’ha condotto una sera, come a meta insperata, sulle falde di quest’arido monte familiare, son ricordi vicini e già remoti. Un diaframma di notti vegliate e di giorni d’arsura, d’immobilità offerta al fuoco dietro fragili ripari separa l’oggi dall’ieri. La guerra è diversa da qualunque immaginazione. Gorizia è lì, sotto la canicola di giugno, vicina e irraggiungibile. Il prurito dei pidocchi deprime, la carne arriva in sacchi fetidi, il brodo sa di putrefazione, l’acqua è terrosa e calda, la colerina apre più vuoti nelle file degli shrapnell. Una notte il buon caporale Rolfi – aveva una piccola croce sul berretto e una mite barbetta francescana – mi sfiora la fronte e mi sussurra: “Scotti. Devi marcar visita. Ti manderanno a star meglio”.

L’indomani il medico – per avergli io detto d’esser di quella bianca città sopita laggiù tra il verde – crede che la febbre mi faccia vaneggiare e mi spedisce, scuotendo il capo, all’infermeria. Dopo un quarto d’ora una granata fa saltare in aria la crollante bicocca. in viaggio ogni sobbalzo dell’ambulanza a cavalli mi fa terribilmente soffrire. Un soldato con la mano fasciata impreca ai volontari e dice che dovremmo tutti morire perché abbiam voluto la guerra. Dopo un pernottamento un maggiore medico imbestialito pretenderebbe che ci pulissimo [e] mi domanda perché non son già morto come devono fare lassù tutti quelli che han voluto la guerra. E pur sentendomi davvero morire mi rimprovero anch’io la malattia come una colpa. La notte, a un ospedaletto, sogno che il Sabotino, senza ascoltare le mie ragioni, s’avanzi mostruosamente e mi seppellisca a un tratto sotto una rovina di massi rotolanti.

(Enrico Rocca. La distanza dai fatti. A cura di Alberto Spaini. Milano, Giordano, 1964, p. 77-78; altra edizione con il titolo Diario degli anni bui. A cura di Sergio Raffaelli. Udine, Gaspari, 2005, p. 53-54)