Disertore dall’esercito austriaco

Il 16 giugno 1916 partivo pel campo.

Due ore prima mia sorella mi informava che mia madre era gravemente ammalata. Eran scappate da Gorizia nel settembre 1915 e s’eran stabilite vicino a Graz, perché negli accampamenti dei profughi si moriva! E lì passarono l’inverno. Come? Io non lo so. Mancavano di tutto, erano derise dalla popolazione e i viveri non si trovavano, anche coi denari alla mano; e non potevo far nulla per loro! Mia madre forse moriva ed io andavo a farmi sbudellare dalle baionette russe; per un paese che non era il mio, che io odiavo con tutte le forze. Se non ammazzai qualcuno quel giorno, fu un miracolo! Piangevo di rabbia e di dolore!

Sei giorni durò il viaggio e s’arrivò in Volinia. Fabbro era con me. Quattro giorni rimanemmo in riserva e poi s’andò in trincea. Però il giorno dopo ci dettero il cambio. Era in corso la grande offensiva russa. Era un inferno! Ci mandarono all’assalto d’una collina. Io e Mario ci baciammo. Era deciso: o si scappava o si moriva.

Appena la trincea russa fu occupata, gettai il fucile e via verso la prossima trincea. Mi videro, ci voleva poco, e una salva di fucilate mi capitò addosso. Due proiettili mi passarono le gambe, uno mi ferì al collo e il quarto mi scalfì il piede. Caddi a terra a 15 metri dalla trincea austriaca. Erano le 5 del pomeriggio del 28 giugno. Rimasi lì per per 24 ore con la prospettiva di venire impiccato se gli austriaci avanzavano. E le granate a piovere all’intorno e le mitragliatrici a sparare sopra la mia testa!

Non avevo paura, non imparai a conoscere Dio, ma una tensione nervosa acuita dall’esasperazione mi scoteva tutto e mi faceva desiderare una palla alla testa. Sfinito, la mattina dopo mi addormentai fra il rombo del cannone e mi svegliai che i russi avevano riconquistato la trincea e seppellivano i morti.

Mi mandarono a Kiev, di lì a Mosca e poi in un ospedale vicino a Nižni-Novgorod. Ci rimasi un mese, finché guarii. Lì feci da medico e da infermiere, parlando latino col dottore russo. Ma che ore di sconforto! Quando fui guarito, mi mandarono in un accampamento di prigionieri. Si poteva venire in Italia! Dovetti lottare – ci sono ancora tanti germanofili in Russia! – e finalmente potei andare a Kirsanov, il concentramento degli italiani.

(Michele Candutti, Lettera a Giovanni Manzini (Torino, 16 dicembre 1916) in Friulani in Russia e in Siberia 1914-1919. A cura di Camillo Medeot Gorizia, Benno Pelican editore, 1978, p. 181-184.)