Corrispondenti di guerra. Taccuino dell’Isonzo
La cosa curiosa in questo teatro di guerra è la vicinanza incredibile tra la quotidianità tutto sommato piacevole e i combattimenti di morte, una contiguità tra il comfort degli hotel e il filo spinato, tra i servizi da tè d’argento e la caduta delle granate. E questa oziosa e pacata noncuranza, questo rimanere a godersi la frescura estiva a ridosso di pesanti obici.
Arriviamo a Gorizia; durante il tragitto ci hanno raccontato che molti shrapnel sono caduti sul centro cittadino, invece osserviamo che la vita non è stata compromessa: molta gente siede in caffè riparandosi dal sole sotto le ampie tende, tutte le botteghe sono aperte, nel parco passeggiano eleganti dame, il ristorante è sovraffollato, si va al cinema, ma già dopo un’ora stiamo perdendo l’udito come tutti gli altri a causa del terribile fragore e delle tremende esplosioni provenienti dalle alture vicine.
Il giorno seguente dobbiamo recarci al fronte, alle postazioni sul Podgora. Attendiamo il capitano di Stato maggiore che ci condurrà, attrezzati di zaino, protezioni e occhiali da macchina, come d’abitudine. Arriva con un frustino, e incontrando il nostro sguardo interrogativo ci esorta: ‘Andiamo a piedi, arriveremo in un momento’.
Percorriamo la periferia cosparsa di ville, attraversiamo un fiume dalle acque smeraldine che, arginate in un’opera di sbarramento, servono all’energia di una fabbrica – l’Isonzo! Iniziamo la salita. Il sentiero si perde improvvisamente in un camminamento e in men che non si dica ci troviamo già nelle prime linee di fuoco. Mezz’ora fa sedevamo in un caffè. lo stesso tempo che si impiega da Nußdorf per salire sul Kahlenberg solo che qui ci troviamo nel bel mezzo della guerra. A trecento passi da noi – si può vedere a occhio nudo – giacciono i cadaveri degli italiani colpiti nell’ultimo attacco.
Era la mia prima visita al fronte sud-occidentale. Pensavo alla Polonia e alla Galizia: agli orribili ed infiniti percorsi attraverso villaggi distrutti e bruciati, attraverso boschi devastati, pieni di carcasse di cavalli, lungo disgustose strade fangose, ai bordi delle quali gruppi di profughi senza patria si portavano avanti sfiniti. Qui non si vede nulla che ricordi la miseria, il sangue, la fatica, l’orrore: una passeggiata attraverso un bosco su una collina e si arriva presso le truppe. […]
La sera siamo di nuovo a Gorizia e apprendiamo che nel pomeriggio uno shrapnel e un paio di pallottole di fucile sono cadute nel parco, senza ferire fortunatamente nessuno. Ai tavoli nel giardino dell’hotel l’atmosfera è ottima, dame eleganti si accompagnano a ufficiali che avevamo incontrato in trincea e nelle postazioni.
Un capitano di artiglieria, con il quale volevo vedermi il giorno successivo, mi dice: ‘Sì, di mattina ho tempo ma alle quattro devo salire’. Intendeva alle postazioni. È come se dicesse di dover essere alle quattro in ufficio al piano superiore. È una guerra molto strana.
(Ernst Goth. Feuilleton. Taccuino dell’Isonzo, in Scrittori austriaci sul fronte dell’Isonzo. Reportage del Kriegspressequartier. A cura di Marina Bressan ... Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna, 2012, p. 25-26. Pubblicato su “Neue Freie Presse. Morgenblatt” del 12 agosto 1915)