Rientro a casa. Ricordi di Clelia Resen Cassanego
Nella primavera del 1918, parte della famiglia Resen si trasferisce da Lucca a Casal Monferrato; le due bambine [Anita e Clelia] rimangono con la nonna Ernesta [Persa] per concludere l’anno scolastico, poi raggiungono i genitori [Paolo e Adele] nella città piemontese.
Così la famiglia nuovamente riunita trascorre una vita normale adattandosi ad una diversa realtà sociale tra scuola, studio fotografico, usi cittadini, scoprendo un fattore del tutto imprevisto e nuovo: la nebbia e l’umidità.
Nell’autunno del 1918 arriva la notizia della vittoria e della fine della guerra; grande e indescrivibile è la gioia tra gli adulti e bambini che così escono da un lungo incubo e dalle paure di arresti e fughe. Il solo grande desiderio, ora, è ritornare a casa a Gorizia.
Ma non è subito facile. La guerra aveva interrotto i contatti postali che riprendono a funzionare e così, finalmente, si riallacciano i rapporti con i familiari rimasti a Gorizia o già rientrati in città. Arrivano le prime lettere dallo zio Ugo Persa (fratello della mamma Adele e cognato di Paolo Resen) con molte notizie. Innanzitutto tranquillizza i parenti circa la sua situazione in quanto il comando austriaco nel 1916, invece di internarlo, lo aveva spostato a Vienna in uffici amministrativi. Mentre deve comunicare la morte del nonno Luigi Resen che nel luglio del 1918, al rientro a casa da Trieste, non aveva retto alla vista di Gorizia distrutta e della famiglia smembrata. Inoltre lo zio racconta che, finalmente, sta rientrando dal carcere austriaco il fratello Oreste Persa, accompagnato dalla moglie Maria Orazietti e i due figli Bruno e Renato. Infine Ugo chiede notizie della moglie Maria detta Marici e del figlioletto Tullio, profughi prima a Lucca con i Resen Persa e poi accolti a Verona da altri nuclei familiari.
Ma oltre alle preziose notizie, l’organizzazione del rientro è complicata e non sarà così veloce. Alla fine del 1918, si spostano la nonna Ernesta e la zia Ina Avanzini per capire la reale situazione della città e della casa, per constatarne i danni e preparare un’accoglienza per l’intera famiglia Resen Persa, tutti in via Dogana 9.
Appena a Pasqua del 1919, con un diploma scolastico parziale per le due bambine, Paolo Resen e la famiglia intraprendono il viaggio di rientro. Un viaggio lungo e faticoso, lento, su ponti di fortuna, distrutti dalle recenti azioni belliche, dal Veneto al Friuli e finalmente a Gorizia.
Grande è lo sgomento alla vista delle macerie, dal Calvario alla città, un paesaggio tragico, anche se la casa è rimasta fortunatamente in piedi, ma circondata da rovine e povertà. L’impatto con le conseguenze della guerra è brutale, e la gioia della ricomposizione familiare è adombrata dalle difficoltà della ripresa che si delinea subito molto pesante. Regna una grande carenza di cibo e di lavoro, in una Gorizia praticamente distrutta, che conta i propri morti e si misura con la necessità di riorganizzarsi a qualunque costo.
Inizialmente le famiglie Resen e Persa rimangono insieme per un reciproco aiuto, per poi sistemarsi in modo più autonomo. Ina Avanzini ritrova il marito Arturo dato per morto in Galizia e rientrato in Italia con un viaggio rocambolesco dalla Cina all’America, a Genova e poi a Gorizia. Felice è morto in Ungheria; Carletto, pesantemente ferito in Galizia, sta continuamente male. Fratelli che hanno combattuto su fronti opposti, chi ha vinto, chi ha perso. Nulla è più come prima.
I bambini vanno subito a scuola dove incontrano altri bambini provenienti o nati nei campi profughi, ancora spaventati e denutriti; parlano lingue e dialetti diversi, sloveno, tedesco, friulano; poi proseguono nei centri per l’infanzia anche in estate. Così sollevano le famiglie con il cibo sicuro e con ore di distrazione dai problemi degli adulti che fanno fatica persino a mangiare. A volte le bambine portano a casa parte delle loro merende scolastiche da condividere in famiglia.
Le donne fanno miracoli nel recuperare oggetti e utensili sottratti abusivamente durante la guerra, si mettono in fila alle distribuzioni pubbliche degli alimenti razionati, cuciono, rammendano (le bambine ricevono dei bei cappotti fatti con la stoffa militare). Ma grande è la collaborazione con i loro uomini per riprendere l attività dei negozi chiusi da anni, una grande difficoltà appesantita dalla povertà cittadina e dalla mancanza dei prodotti, che con fatica devono prendere altre vie di comunicazione, tutte ormai in Italia.
I primi stipendi che arrivano a casa sono delle due insegnanti Carmela e Adele che possono impegnarsi subito nelle scole elementari e cittadine, così l’intera famiglia arriva al primo Natale nel dicembre 1919 con un’aria di festa e un tavolo imbandito. Ritorna l’albero fatto con un manico di scopa e rami della siepe d’alloro, con le ghirlande e i nastri di carta stagnola, con i biscotti e qualche dolcetto fatto in casa.
Così si chiudono i ricordi di una bambina, diventata più grande della sua età, tra le vicende di una famiglia goriziana travolta, come tante altre, dalla Grande Guerra.
(La testimonianza di Clelia Resen Cassanego, dal titolo Rientro a casa. Ricordi di Clelia Resen profuga a Lucca (1917/19) e a Casal Monferrato; rientro a Gorizia (primavera 1919), è stata messa a disposizione del progetto Gorizia e la Grande Guerra da Maria Lùcia Cassanego Lamberti, che si ringrazia per la disponibilità)