Virginia Marinaz abbandona Gorizia (8 agosto 1916)
“Sotto una pioggia intensa di granate ci siamo incamminati. Ovunque i pericoli e la morte ci minacciavano, ma non ci pensavamo. La paura e il dolore ci avevano resi insensibili a tutto. Guardavamo le strade con orrore, poggioli bruciati, macerie, sassi, polvere, cavalli morti, schegge, camminamenti, tutto ci sbarrava la strada. Nella piazza del Duomo giacevano a terra addirittura delle persone. Morte o ferite? Chi poteva dirlo, non c’era nessuna possibilità di avvicinarsi a loro.
Come noi fuggirono anche molti altri: povera gente che cercava di salvare i propri tesori: materassi, coperte, pentole, addirittura maialini e polli vivi, un variopinto miscuglio caricato su carri spinti a mano vicino ai quali si trascinavano dei bambini scalzi e piangenti.
Non avevamo con noi quasi niente, non aveva alcun senso, noi dovevamo in fin dei conti lasciare a Gorizia le cose più belle e più preziose: a che scopo allora portarsi dietro alcuni stracci.
Procedevo sulla strada polverosa, animata dal solo desiderio che una caritatevole granata ci portasse tutti e quattro con sé nell’Aldilà, nel paese del silenzio e della pace. […] Le granate volavano sopra le nostre teste ed esplodevano a destra della strada. Il nemico non voleva concederci la minima pausa. Così continuò, nella polvere e nella calura, tra carri di ogni specie, automobili, soldati, profughi, fino ad Aisovizza, dove un’interminabile fila di carri attendeva la gente infelice. Anche noi salimmo piangendo su uno di questi carri, e la triste colonna si mosse lentamente a sinistra della strada, mentre al centro e a destra procedevano altri carri militari, carri munizioni, autocarri e soldati in marcia. Non ci sono parole sufficienti a riprodurre quest’immagine, la verità va al di là di qualsiasi descrizione.
(Virginia Marinaz, In ricordo di tempi dolori e grandi, in Paolo Malni. Fuggiaschi. Il campo profughi di Wagna 1915-1918. San Canzian d’Isonzo, Edizioni del Consorzio culturale del Monfalconese, 1998, p. 97).