I ricordi di Nino Nardini (7-11 agosto 1916)

In quei giorni la poca gente che ancora era rimasta nel vicinato abbandonò la propria casa, perché si vociferava che era imminente l’entrata in città delle truppe italiane.

La notte tra il 7 – lunedì – e l’8 agosto ci rifugiammo nuovamente nella cantina e la mattina seguente – martedì – verso le quattro, due gendarmi austriaci, in servizio di ronda, entrarono in casa e ci costrinsero a spegnere la luce che avevano scorto attraverso i finestrini, perché secondo loro quella flebile luce di candela poteva costituire una segnalazione per gli italiani. Immaginarsi il nostro spavento!

Qualche ora più tardi – stava albeggiando – alcuni di noi ragazzi ci portammo sul piazzale antistante l’Asilo di San Giuseppe, angolo via Grabizio – via San Pietro (ora via Vittorio Veneto) e vedemmo quegli stessi gendarmi, che ci avevano fatto visita nella cantina, saltar fuori da una siepe e, gettati a terra i fucili, alzare le mani e consegnarsi prigionieri ad una pattuglia italiana in avanguardia.

Il resto della mattina trascorse nella calma – si sentiva soltanto qualche tiro di fucileria -, ma ad un tratto vedemmo spuntare sopra di noi un aeroplano italiano con una bandiera tricolore appesa alla carlinga. Volava a bassissima quota e potevamo vedere il pilota che agitava le braccia in segno di saluto. Rimanemmo al momento sbalorditi, ma, subito ripresici, rispondemmo con entusiasmo a quel gesto: era infatti il segnale che la città sarebbe stata occupata in breve tempo.

Nel pomeriggio ci spingemmo verso la chiesa dei Cappuccini, ma, avendo scorto ad una certa distanza dei soldati, ritornammo di corsa a casa.

La giornata trascorse alquanto tranquilla, soltanto i tiri di artiglieria si fecero più frequenti.

Il giorno dopo, 9 agosto – mercoledì – la città fu interamente occupata e vedemmo il grosso delle truppe italiane sfilare per via S. Pietro dirette verso il nuovo fronte sul San Marco, dove si verificarono furiosi combattimenti.

Siccome aumentava il pericolo, mia sorella maggiore Giovanna mandò mio fratello Gigi in via Scuola Agraria a chiamare una sua amica rimasta sola in casa. Gigi potè così assistere ad alcune scene dello scontro in pieno svolgimento: vide dei morti e dei feriti che gridavano, un vero disastro.

Fu infatti il finimondo: le artiglierie entrarono in azione con intensità sempre maggiore e le granate cominciarono a cadere intorno a noi. Una di queste scoppiò proprio nel nostro cortile, ferendo ad una gamba un soldato italiano che stava parlando con noi. Mio fratello, aiutato da me, si prese il ferito sulle spalle e lo portò al più vicino posto di medicazione.

In seguito all’infuriare della battaglia decidemmo di abbandonare la casa: in fretta e furia ciascuno di noi prese un po’ di roba e ci rifugiammo poi nella cantina del Municipio. Il giorno dopo, mia sorella maggiore e mio fratello, che avevano voluto ritornare a casa per prendere ancora qualche indumento da portar via, rimasero impietriti al vedere che la casa, colpita da una granata incendiaria austriaca, stava bruciando, e, piangendo, ritornarono a mani vuote.

Dopo due giorni di permanenza nelle cantine del Municipio, fummo trasportati con un camion militare a Cormons […]

(Nino Nardini. Testimonianza in 8-9 agosto 1916. La presa di Gorizia. Immagini, documenti, memorie. Mostra allestita nel 70° anniversario. Catalogo a cura di Maria Masau Dan, Annalia Delneri. Gorizia, Museo Provinciale, 1986, p. 62-64)