I ricordi di Henrik Tuma: la seconda battaglia dell’Isonzo

Nella seconda battaglia dell’Isonzo, credo si fosse agli inizi di luglio, il fuoco divenne così intenso, che si sentivano i proiettili cadere sul tetto. Decisi allora di trasferirmi con la famiglia nella parte interna della città e presi alloggio all’albergo Pri zlatem jelenu [Al cervo d’oro]. L’attacco durò un giorno, dopodiché ci furono alcune settimane di relativa quiete, e noi tornammo a casa nostra. Ma, poco più di una settimana dopo, una grande granata cadde ad appena 100 metri dalla nostra villa e colpì la casa del carrettiere Kocjančič, facendone crollare una parte e uccidendo alcune persone. Poco tempo dopo un’altra granata colpì un angolo dell’edificio che ospitava il sanatorio Rudolphinum, a circa 150 metri dalla nostra villa. Il proiettile scoppiò e una grossa scheggia, di diversi chili di peso, colpì la porta di vetro della nostra villa, infrangendola, strappò un pezzo di tenda e cadde a terra avvolta in esso senza provocare altri danni. quando udimmo il rumore dei vetri infranti corremmo tutti a vedere. capimmo che non c’era più tempo da perdere; raccattammo quel che potemmo e tornammo nuovamente, nel pieno della notte, al Cervo d’oro, per prepararci finalmente ad andarcene via da Gorizia.

Il giorno in cui partimmo, gli italiani stavano bombardando rabbiosamente le postazioni austriache. Erano gli inizi della terza battaglia dell’Isonzo. [In realtà la terza battaglia dell’Isonzo comincia il 18 ottobre, mentre Tuma lascia Gorizia in estate per la Kranjska, stabilendosi poi a Trieste alla metà di settembre]. mentre passavamo per il Travnik [Piazza Grande] e attraversavamo Via Santa Chiara, una granata colpì sotto i nostri occhi un carro pieno di gente distruggendo ogni cosa. La stazione di Gorizia era già distrutta. Per fortuna riuscimmo a raggiungere quella di Šempeter e a prendere il treno che ci portò a Lukovica, nella Kranjska, dove ci saremmo sistemati provvisoriamente a casa di mia nipote Anica. Avevamo preso con noi vestiario e biancheria quanto in genere ce ne occorreva per un paio di mesi di vacanza. Mia moglie era era convinta che per allora la guerra sarebbe finita e noi saremmo potuti tornare nella nostra soleggiata Gorizia. Io ero di diverso parere.

(Henrik Tuma. Dalla mia vita. Ricordi, pensieri e confessioni. Trieste, Devin, 1994, p. 368-369)