I ricordi di Henrik Tuma: spie austriache a Gorizia
L’Austria, all’inizio della guerra, aveva spie dappertutto: tra i soldati, al confine per le operazioni belliche e tra la popolazione civile per essere informata sull’affidabilità di questa o quella persona o in genere per essere al corrente degli orientamenti politici della gente. Alcuni informatori era nostati distaccati presso l’amministrazione di polizia di Gorizia, altri presso quella militare, ma c’erano anche spie che svolgevano la loro attività all’insaputa delle stesse autorità di polizia e militari di Gorizia e che dipendevano direttamente dal ministero degli interni di Vienna. A spiegarmi queste cose fu lo stesso direttore dell’amministrazione di polizia, Casapiccola, quando io una volta gli chiesi che cosa facessero di preciso i due informatori segreti che avevo incontrato di persona.
Nella mia casa di città era venuta ad abitare una giovane signora, alta ed elegante, che aveva un bellissimo levriere. Diceva di essere la moglie di un ufficiale di artiglieria austriaco e di essersi trasferita da Vienna a Gorizia perché il marito, che era in servizio sul fronte dell’Isonzo, potesse venirla a trovare. Frequentava anche famiglie italiane, ma dimostrava una simpatia tutta particolare per le signore slovene, soprattutto per le mogli di politici, avvocati e giudici. Naturalmente andava spesso a trovare anche mia moglie e sempre portava il discorso sulla politica, sulla situazione al fronte, sui conoscenti che erano sotto le armi. Era molto curiosa di sapere che cosa io pensassi di questo o quell’argomento. Mia moglie era molto discreta e dava mostra di essere ancora più ignara in fatto di politica di quanto non lo fosse in realtà. Quando mi riferì del comportamento della signora, io cominciai a informarmi e venni a sapere da alcuni miei conoscenti che la donna, ovunque andasse, non faceva che chiedere quali fossero le idee politiche di questa o quella persona. Era chiaro che si trattava di una spia; perciò un giorno la fermai per strada col pretesto di chiederle se per caso era stata in visita da mia moglie. Poi la accompagnai verso casa e la invitai ad accomodarsi in salotto per scambiare quattro chiacchiere. Non appena fummo in casa, le dissi senza perifrasi: ‘Signora, lei evidentemente vorrebbe sapere qual è la mia opinione, se simpatizzo con gli Imperi Centrali o con l’Intesa’. La donna accusò il colpo e si affrettò a stornare da sé ogni sospetto di curiosità, dicendo che forse qualche volta, ma così, mentre parlava del più e del meno, aveva fatto qualche domanda del genere. io ribadii quello che pensavo, e cioè che ero sicuro che si interessasse di questioni di questo tipo; poi aggiunsi che non avevo difficoltà a dirle senza circonlocuzioni che mi aspettavo che vincessero gli Imperi Centrali […]
La seconda spia era un ometto già piuttosto anziano, rotondetto, affabile e ciarliero, che vestiva come un carinziano del ceto medio e cercava di farsi dire dalle bambinaie se i loro padroni simpatizzavano per i tedeschi o per gli italiani. Era un assiduo frequentatore dei giardini pubblici, dove si sedeva ora a fianco di una bambinaia ora di un’altra e si informava a quale famiglia apparteneva il pargolo, cosa faceva il papà, cosa si mangiava a tavola, che cosa si faceva in casa, che cosa si diceva dei tedeschi e degli italiani. Cominciai a osservarne le mosse quando una bambinaia, mia cliente, me lo indicò.
(Henrik Tuma. Dalla mia vita. Ricordi, pensieri e confessioni. Trieste, Devin, 1994, p. 366-368)